L’aumento di visibilità di un
faro si ottiene concentrando la maggior parte dei raggi luminosi
emessi dalla sorgente luminosa in un cono di pochi gradi con vertice
nel centro della sorgente e l’asse diretto verso l’orizzonte.
In
origine si adottò il metodo di riflessione della luce, dall’impiego
di una superficie piana, come un muro imbiancato a calce retrostante
la fonte luminosa, ad apparati ottici veri e propri, noti come
catottrici (dal greco katotrikós – speculare), quali
specchi argentati dal profilo piano, sferico, parabolico o una loro
combinazione.
Molto probabilmente il primo esempio di riflettore potrebbe essere stato quello del faro di Alessandria se sono vere le informazioni tramandateci da storici arabi che, avendo visitato quello che ancora era in piedi della torre, fanno riferimento all’esistenza di superfici metalliche riflettenti. Una documentazione certa dell’uso dei primi riflettori piani in metallo lucido che rimandano in avanti una parte della luce, risale alla prima metà del ‘500. Nel corso dei successivi due secoli molti fari furono dotati di riflettori metallici anche se non si hanno notizie sulla loro forma e configurazione.
Un particolare riflettore degno di essere ricordato è quello fatto costruire dall’ingegnere francese de Bitry installato al faro di Cordouan in Francia nel 1727 costituito da una piramide rovesciata con facce rivestite di metallo lucido capaci di riflettere la luce del fuoco del carbone del faro. Tale idea, pur originale, non ebbe vita lunga a causa della fuliggine che costringeva a continue operazioni di pulizia.
Verso la fine del ‘700 comparvero i primi riflettori sferici in metallo lucido (in precedenza venivano realizzati dei gusci rivestiti di moltissimi specchietti) tra cui il réverbère di Pierre Tourtille Sangrain (1771), un noto imprenditore francese che aveva vinto nel 1769 l’appalto per l’illuminazione della città di Parigi.
I
riverberi furono
utilizzati prima nel
faro francese di Saint-Mathieu in
Bretagna nel 1773 e
successivamente in
quello di Corduan, la
cui lanterna venne
equipaggiata
con 80 lampade a
riflettore da 20 cm disposte su cinque archi sostenuti
da un’asta
centrale. Ogni lampada possedeva
uno stoppino piatto
immerso
in un piccolo serbatoio situato sul retro del riflettore che
poteva contenere olio di
colza, di oliva o il più pregiato olio di balena.
Una leva
consentiva
di alzare e
abbassare le lampade per
facilitarne
la manutenzione. Con
tale nuovo sistema illuminante la lanterna venne accesa per la prima
volta il 12 novembre 1782. Purtroppo,
dopo un iniziale spettacolare effetto luminoso, l’efficienza del
sistema calò rapidamente
tanto che alla fine di
quell’anno i marinai
già si lamentavano della sua scarsa visibilità,
facendo presente che
la luce si vedeva a non
più di due
leghe (circa
4 Nm),
mentre il vecchio fuoco con
carbonella si vedeva fino
a una distanza di 6 o 7
leghe (12-14 Nm).
Nel 1783 furono
aggiunti ulteriori riflettori più grandi e fu resa più efficiente
l’estrazione
dei fumi, ma non si ebbero sostanziali miglioramenti. Quello
stesso anno l’ingegnere navale
francese Joseph Teulere
(nel 1786 fu incaricato
di alzare il faro di 20 m per migliorarne la visibilità) propose
lampade con riflettori
metallici parabolici
capaci di concentrare
in raggi paralleli la luce riflessa della sorgente luminosa posta nel
fuoco.
Teulere
applicò anche un sistema a orologio di rotazione dell’asse portante
i riflettori ottenendo così anche la caratteristica luminosa del
faro. Tale sistema era
stato applicato per la prima volta circa vent’anni prima
dall’ingegnere svedese
Jonas Norberg (1711–1783) su
alcuni fari della
Svezia.
Un passo importante nell’evoluzione degli apparecchi luminosi fu quando il chimico svizzero François Pierre Ami Argand (1750 1803), fra il 1783 e il 1785, realizzò una lampada in cui l’antico becco della lucerna venne sostituito da un becco di forma nuovissima, costituito da uno stoppino posto tra due cilindri concentrici di metallo con la possibilità di essere alzato o abbassato. Il nuovo bruciatore si completava di un tubo di vetro cilindrico dalla base alla sommità.
La fiamma anulare della nuova lampada beneficiava così di una doppia aerazione, interna ed esterna e il vantaggio era ulteriormente accresciuto dal tubo che accelerava la velocità delle due correnti d’aria.
Il bruciatore Argand era in grado di produrre una luce più luminosa, di ben 5 volte maggiore dei bruciatori allora esistenti, più bianca e più stabile. Verso la fine del ‘700 la lampada di Argand venne inserita nei riflettori sferici, ben presto sostituiti da quelli parabolici capaci di una maggiore concentrazione anche se circa il 30% della luce della sorgente si perde dai bordi del riflettore. Alla maggiore luce si associava una minore produzione di fumo della lampada, il principale responsabile del decremento dell’efficienza dei riflettori.
Per altre notizie vedere l’articolo sulla lampada di Argan in questo sito.
Con le possibilità tecnologiche dell’epoca la forma parabolica si poteva ottenere solo a mano eventualmente con l’aiuto di una forma su cui veniva martellato un sottile foglio di rame. Seguiva una lucidatura e quindi un processo di rivestimento in argento come quello degli specchi. L’ambiente marino e l’inevitabile fuliggine, per quanto minima, rilasciata dalla lampada, minimizzata con l’inserimento di una canna fumaria nel locale della lanterna, costringevano a continue azioni di pulizia e lucidatura che conducevano ben presto alla perdita del rivestimento d’argento e quindi alla sostituzione del riflettore. Tra imperfezioni iniziali, graffi successivi, fuliggine, problemi ai bordi, un faro attrezzato con tali apparati aveva un rendimento molto basso.
Sempre in quell’ultimo scorcio del XVIII secolo si ebbe la prima applicazione di sistemi ottici, quali le lenti convesse, costituite esclusivamente da superfici rifrangenti con cui rendere parallela all’asse ottico la luce della sorgente posta nel suo fuoco, in maniera simile ai riflettori parabolici, ma eliminando la riflessione sostituita da superfici esclusivamente rifrangenti (apparati diottrici – un termine di origine greca che ha il significato di vedere attraverso) . Si ha notizia che un artigiano inglese del vetro Thomas Rogers realizzò delle lenti di 53 cm di diametro e 14 di spessore al centro che furono installate nel 1789 al faro di Portland Bill nel sud dell’Inghilterra.
Altri fari furono dotati di tale tipo di apparato ottico, noto come bull’s eye (occhio di bue), ma i risultati non furono incoraggianti sia per l’eccessivo assorbimento luminoso nella rifrazione dovuto al forte spessore sia per problemi ai bordi risolvibili con lenti decisamente più grandi di diametro e quindi di spessore, con conseguente ulteriore aumento dell’assorbimento.
Passo decisivo fu il sistema ottico degli apparati catadiottrici, combinazione di elementi rifrangenti e riflettenti, noti come lenti di Fresnel, inventati negli anni ’20 dell’800 dall’omonimo ingegnere francese, che si diffusero rapidamente ovunque per essere adottati, in varie forme e dimensioni, in tutti i sistemi di segnalamento luminoso.
Nel seguito e fino ai giorni nostri, il progresso è stato quello delle sorgenti luminose e degli apparati di controllo e gestione anche a distanza dei fari.