Eliofanografo

Detto anche eliofanometro o eliografo (in effetti quest’ultimo termine è generalmente associato a uno strumento di telegrafia ottica), in meteorologia serve a misurare la durata della luce solare in un periodo di tempo (soleggiamento reale), ovvero le ore e le frazioni di ora durante le quali il Sole è presente sopra l’orizzonte libero da nubi.
La disponibilità di un gran numero di registrazioni di lunga durata esistenti in tutto il mondo e da moltissimi anni, ha permesso di estrarre preziose informazioni climatiche.
Gli inglese, più pratici anche nella terminologia, lo chiamanosunshine recorder, un registratore di luce solare, utilizzato dalle stazioni di osservazione di tutto il mondo.

Venne inventato nel 1853 da uno storico scozzese, John Francis Campbell (1821 – 1885) e modificato perfezionandolo nel 1879 dal famoso fisico e matematico irlandese Sir George Gabriel Stokes (1819 – 1903), tanto da essere noto come registratore Campbell-Stokes.

Il design originale di Campbell consisteva in una grande lente sferica inserita in una ciotola di legno con il sole che bruciava una traccia sulla ciotola. L’ingegno di Stokes fu quello di realizzare un supporto in metallo che potesse contenere una striscia di carta graduata su cui viene incisa la traccia solare.
Più precisamente la sfera di Stokes, con cui lo strumento è anche noto, consiste di una sfera di cristallo, del diametro di 10 cm, capace di focalizzare i raggi del sole su una di tre strisce di carta montate su un apposito supporto. Al superamento di una definita energia luminosa il raggio lascia una bruciatura sulla carta, quella delle tre che si trova esposta in dipendenza dell’altitudine del sole durante le diverse stagioni dell’anno.
Nell’emisfero settentrionale, l’unità è posizionata su un supporto esposto a sud per consentire di registrare la massima quantità di sole.
Per le misure nelle le regioni polari viene aggiunta una seconda sfera rivolta a nord (o a sud per l’antartico), per registrare la luce solare durante l’estate quando rimane nel cielo per 24 ore.

La bruciatura della carta è dipendente dai W/m2 di energia raccolta. Inizialmente non esisteva uno standard di misura della soglia solare e quindi la Sunshine duration (SD), ovvero le ore di sole in un dato luogo, poteva non essere facilmente confrontabile con le misure effettuate in altro luogo.
Nel 1981 l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO – World Metereological Organization), l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite (ONU) per la meteorologia, la climatologia, l’idrologia operativa e le scienze geofisiche, ha definito l’SD come “la somma dei tempi in cui l’irradianza solare diretta supera i 120 W/m2 per un dato periodo”.
La irradianza, anche nota come illuminanza, è la potenza radiante che attraversa una superficie ed è espressa in W/m2. . Non va confusa con lirradiazione che è la somma effettuata in un periodo di tempo della irradianza. Si misura in kWh/m2.

Con lo sviluppo dell’elettronica l’eliofanografo di Stocks, pur essendo ancora attivo in diverse stazioni meteorologiche, è stato sostituito da dispositivi con sensori fotometrici (forniscono il valore digitale 1 quando si supera la soglia di 120 W/m2, altrimenti l’uscita è indicata da uno 0 digitale), per essere applicati in stazioni non sorvegliate come le boe meteorologiche.
Una classe di strumenti simili è rappresentata dai solarimetri, capaci di misurare l’intensità della radiazione solare globale, cioè della radiazione solare diretta più quella diffusa dalla volta celeste. Tali sensori si basano sull’effetto delle termocoppie o su quello fotovoltaico.


Carte meteorologiche

Oggi disponiamo di numerose rappresentazioni grafiche delle condizioni meteorologiche.
Giornali, emittenti televisive, internet forniscono grafici, più o meno ricchi di informazioni, soprattutto attraverso simboli non sempre noti a tutti, con i quali poter conoscere lo stato attuale e futuro del tempo meteorologico.

Pioniere di tale approccio allo studio del tempo atmosferico (per il quale gli inglesi hanno un termine ben definito weather, diverso dal tempo ordinario che è time) e alla sua rappresentazione grafica è stato lo scienziato britannico Francis Galton (1822-1911) il cui contributo scientifico ha interessato numerosi campi, dalla climatologia alla matematica, ma fu anche esploratore, geografo e antropologo. Nella sua opera Meteographica, or Methods of Mapping The Weather, del 1863 (scaricabile dal sito a lui dedicato: galton.org ), Galton presentò diversi diagrammi tra cui quelle da lui definite “synchronous charts”, come le mappe riportate qui, indicanti le condizioni del tempo, la pressione barometrica, le direzioni del vento in un dato momento e per una data area geografica dell’Europa.

Fu così che Galton elaborò la prima carta meteorologica pubblicata sul The Times, il 1 aprile 1875 in cui mostrava il tempo del giorno prima, il 31 marzo.
Insomma quella di Galton era un’intelligenza prolifica degna di suo cugino Charles Darwin.

Alisei

Venti a carattere regolare della zona della Terra compresa fra 30° di latitudine nord e 30° di latitudine sud.

Già nel XV sec., durante i viaggi lungo la costa occidentale dell’Africa, i portoghesi, primi tra gli europei, riconobbero la loro importanza nelle rotte di navigazione. Non a caso gli inglesi li chiamano trade winds dove trade ha l’antico significato di percorso (oggi di commercio) e winds, venti.

Una nave a vela, lasciato lo stretto di Gibilterra, si trova ben presto nella corrente delle Canarie che la spinge a sud-ovest lungo la costa africana. Raggiunge gli alisei di nord-est che la spingono anche a sud-ovest. Se la navigazione inizia con la fine dell’estate incontra gli alisei prima poiché i sistemi eolici si spostano da nord a sud con le stagioni. Il problema era tornare di nuovo senza dover fare continui e faticosi bordi. La soluzione era affrontata da un modo di navigare che i portoghesi chiamarono la volta do mar largo (o semplicemente la volta do mar) in cui la nave navigava per nord-ovest al traverso, prima negli alisei e successivamente nei venti occidentali (westerlies) così da guadagnare terra in Europa, passando per le Azzorre.
Nell’Oceano Pacifico sia gli alisei orientali sia quelli occidentali furono riconosciuti dagli europei solo nel 1565 con la spedizione in cui era consigliere nautico il frate spagnolo Andres de Urdaneta (1498 – 1568).

Nella navigazione a vela, durante le scoperte geografiche, l’attenzione ai fenomeni meteorologici rivestiva un’importanza notevole, necessaria a individuare le rotte migliori e sicure. Tutto ciò portò a una vasta raccolta di osservazioni nel corso dei secoli XVI e XVII permettendo così agli studiosi di approfondire le conoscenze dei fenomeni atmosferici. Nel 1686 il celebre astronomo inglese Edmund Halley (1656 – 1742), dallo studio dei dati disponibili, integrati con le informazioni ricavate in una sua spedizione all’isola di Sant’Elena, pubblicò una carta degli alisei (e una dei monsoni) insieme a un saggio in cui identificava nel riscaldamento solare la causa dei moti atmosferici.
Spetterà a un avvocato inglese con la passione della meteorologia, George Hadley (1686-1768), fornire, circa 50 anni dopo nel 1735, nell’articolo “Concerning the Cause of the General Trade Winds”, una descrizione del processo dinamico degli alisei partendo dalle ipotesi di Halley, che presentò poco dopo alla Royal Society di Londra.
Il suo modello, in cui per la prima volta attribuiva alla rotazione della Terra la direzione verso occidente degli alisei, comunque rimase a lungo sconosciuto fino a quando, nel 1793, lo scienziato inglese John Dalton (1766 – 1844) ne riconobbe il valore.
Il modello, noto come cella di Hadley, appartenente alla circolazione generale dell’atmosfera , si può così riassumere: dai centri di alta pressione presenti ai tropici le masse d’aria si dirigono verso l’equatore, deviando verso ovest per effetto Coriolis, richiamate da un movimento verticale di aria umida fortemente riscaldata che forma grandi nubi convettive cumuliformi accompagnate da rovesci, groppi e tempeste.

Tale zona, una fascia di circa 50 km di larghezza, detta zona di calme equatoriali per la presenza di venti deboli (i moti verticali non sono soggetti all’effetto Coriolis, il cui effetto è trascurabile all’equatore), posta più a nord dell’equatore geografico (tanto da definirsi equatore termico o climatico), è anche nota nella terminologia marinara inglese (a partire dalla prima metà dell’800) come doldrums, (probabilmente combinazione di dull, noioso – per assenza di venti utili e tantrum, capricci per le condizioni meteorologiche), mentre dagli anni 40 del ‘900, ad opera dell’Istituto Meteorologico di Bergen, in Norvegia, che tanto sviluppo diede alla meteorologia, ha assunto il nome scientifico di Inter-Tropical Convergence Zone, (ITCZ, pron. “itch”), Zona di convergenza intertropicale.
L’aria in salita nella Zona, giunta ai confini della troposfera (all’equatore particolarmente spessa, tra i 10 e 18 km) persa l’umidità, divenuta più pesante scende di quota dirigendosi verso latitudini più elevate (tale movimento d’aria è detto dei contralisei) per ritornare sulla superficie terrestre in corrispondenza dei tropici, a circa 30° N o S (rispettivamente per gli alisei settentrionali e meridionali), che gli inglesi chiamano horse latitudes, una espressione sulla cui etimologia vi sono diverse interpretazioni. Quella più plausibile riferisce che a tali latitudini vi sono correnti che possono favorire il moto delle navi, alla maniera di un cavaliere a cavallo.

Boe meteorologiche

Per poter svolgere le analisi previsionali e fornire gli avvisi e le allerte meteo le stazioni meteorologiche di tutto il mondo ricevono anche dati inerenti gli ambienti marini inviati da svariati dispositivi situati in mare tra cui quelli appartenenti ad una rete nota come ODAS (Ocean Data Acquisition Systems), capaci di raccogliere, conservare o trasmettere campioni o dati relativi all’ambiente marino e alla bassa atmosfera. Si tratta di boe, navi faro, piattaforme offshore, ad esclusione delle navi.
Le boe meteorologiche sono di due tipi, quelle fisse, ormeggiate sul fondo del mare (moored buoy), anche a grandi profondità e quelle mobili (drifting buoy) per azione delle correnti.

La prima vera applicazione di boe meteorologiche si ebbe nel corso della Seconda Guerra Mondiale quando la Germania nazista posizionò un certo numero di boe di rilevamento di pochi parametri meteo (temperatura, pressione e umidità) nel Nord Atlantico e nel Mare di Barents su fondali di circa 1800 m. Tali boe, di circa 10 m di altezza, di cui la maggior parte sommersa, venivano messe in opera dagli U-boot e trasmettevano in codice i dati rilevati 4 volte al giorno a mezzo radio fornita di antenna. L’alimentazione era assicurata da batterie a secco ad alta tensione con un’autonomia di 8-10 settimane, al termine delle quali la boa si autodistruggeva.

Negli anni 50 del ‘900, Stati Uniti e Canada misero in mare alcune boe meteorologiche come alternativa alle costose navi meteorologiche.
Furono così prodotte le boe automatizzate NOMAD (Navy Oceanographic Meteorological Automatic Device) impiegate, in condizioni marine estreme, per il monitoraggio dei parametri meteorologici, oceanografici e della qualità dell’acqua. Costituite da uno scafo in alluminio lungo 6 metri, dalla forma simile a quella di una barca, sono ancorate su fondali anche di oltre 3000 metri. Attualmente sono attive per USA e Canada circa 20 unità.

Numerose sono le boe fisse meteorologiche offshore ODAS attive in tutte le acque del mondo capaci in automatico di raccogliere e trasmettere dati meteorologici, scientifici e oceanografici in tempo reale. Questi dati vengono trasmessi a terra tramite satelliti geostazionari o in orbita polare, mentre alcune boe più prossime alle coste inviano i dati tramite collegamenti HF o UHF.
Le boe fisse ODAS (almeno quelle situate in acque internazionali) sono regolamentate dall’ente internazionale IALA sul segnalamento marittimo in quanto corpi galleggianti che vanno identificati da chi va per mare.
Sono di colore giallo, contrassegnati dalla scritta “ODAS” con un numero identificativo assegnato dal World Meteorological Organization (WMO) e dotate di un segnale luminoso a luce gialla di cinque lampi ogni 20 secondi: Fl (5) 20s

Alle boe fisse, a partire aalla fine degli anni ‘70 del secolo scorso sono entrate in funzione nuovi tipi di boe meteorologiche, trascinate dalle correnti oceaniche, note come drifting buoy, boe alla deriva a cui appartengono, a partire dal 2000, particolari boe mobili note come Argo float, dal nome del programma internazionale di monitoraggio delle acque dei mari e degli oceani. Si tratta di boe (attualmente sono operative circa 4000 unità) ad alta tecnologia capaci di immergersi a diverse profondità per rilevare dati significativi delle acque. Per approfondimenti segnaliamo il link del Programma Argo

Per dare un’idea della vasta popolazione delle boe mobili si rimanda al link sulla Mappa dei dati marini della Comunità europea

Anche nelle acque italiane si trovano alcune boe ODAS segnalate negli Avvisi per Elenco fari. In particolare è attiva una boa ODAS gestita dal CNR, indicata con la sigla Italia 1, posizionata nel Mar Ligure un’area particolarmente attiva nella circolazione e nel clima della regione mediterranea. La boa è dotata di ormeggio elastico che le consente di muoversi entro un raggio di 2 Km

Anche in questo caso si rimanda al link del CNR per ulterior informazioni.


PHP Code Snippets Powered By : XYZScripts.com