Pesca a strascico

La pesca a strascico (da strascicare, trascicare, trascinare, tirarsi dietro qualche cosa senza sollevarla da terra), in inglese trawling, è un tipo di pesca che impiega particolari attrezzi mobili che entrano in contatto costante o occasionale con il fondo marino al fine di catturare pesci e altre specie che ci vivono. Gli attrezzi, trainati da una barca, consistono principalmente di reti, zavorrate sul lato inferiore della bocca e dotate di galleggianti per il lato superiore, generalmente costituite da maglie le cui dimensioni dovrebbero lasciare passare i pesci di taglia più piccola, in verità resa impossibile al momento del salpamento quando si trovano imbrigliati nella massa di pesci più grandi o perché le maglie tendono a chiudersi. Una condizione questa, che potrebbe essere contenuta salpando la rete più frequentemente.

Tale tipo di pesca, con il trascimamento degli attrezzi sul fondo del mare, inevitabilmente distrugge o asporta qualunque cosa viene incontrata.
Le aree più vulnerabili sono quelle popolate da coralli, spugne o molluschi, che forniscono riparo per i giovani pesci che si nascondono dai predatori e riposano fuori dalla corrente.

Si calcola che solo il 20% di quanto tirato su è prodotto commerciabile, il resto comprende vero rifiuto (che in genere viene ributtato in mare e non differenziato a terra) e, quello che è peggio, pesci sottotaglia, anche neonati all’inizio del proprio ciclo di vita, che vengono scartati e anch’essi ributtati in mare (qualche operatore più attento cerca di recuperarlo per farne, ad esempio, conserve).
Per una visione “virtuale” del trascinamento della rete sul fondo si allega una Animazione tratta dal programma di informazioni sui prodotti ittici su basi scientifiche Seafood Watch del Monterey Bay Aquarium in California (USA), attivo dal 1997.

Tra i tipi di rete quella peggiore, certamente la più distruttiva, è la sogliolara, dotata di un rastrello metallico nella parte inferiore della bocca con cui viene raschiato il fondo (gli inglesi la chiamano infatti dragging).

Ma le problematiche indotte dalla pesca a strascico non si esauriscono in tali punti. Altri aspetti negativi sono direttamente proporzionali all’intensità delle battute di pesca, quella fatta con mezzi di livello industriale, che danno luogo alla liberazione di anidride carbonica che gli oceani e i mari assorbono e immagazzinano sul fondo, un servizio reso dalla natura come quello svolto dalle foreste che viene compromesso da azioni scellerate. La mancanza di un controllo sulle quantità raccolte incide inevitabilmente sulle comunità locali che si vedono impoverire una risorsa alimentare importante.
La pesca a strascico ha origine nella seconda metà del XIV secolo e fin dall’inizio mise in evidenza i suoi lati negativi tanto che nel 1367 i pescatori dell’estuario del Tamigi presentarono una petizione al re inglese Edoardo III per vietare tale tipo di pesca che temevano catturasse troppi piccoli pesci e causasse gravi danni alla comunità e la distruzione delle attività di pesca.

Ultimamente la tecnologia ha dato origine a un nuovo tipo di rete, in dotazione alle flotte di pesca industriale, che impiegando la spinta idrodinamica dei foil, si muove a poca distanza dal fondo marino stanando i pesci che si trovano sotto la sabbia, in pratica quelli della vasta famiglia delle sogliole, con stimolazioni elettriche, un metodo che viene presentato come una soluzione per salvaguardare l’ecosistema marino, spingendo così la UE nel 2006 a emanare una deroga al divieto del 1988 sulla pesca elettrica.
In verità tale nuovo metodo riduce di circa il 15% il consumo di carburante dei pescherecci; poco conta la sofferenza dei pesci per lesioni interne. Potenza delle lobby.

A completamento di un quadro non certamente confortante vi è lo strascico illegale, che non rispetta le distanze minime dalla costa approfittando della scarsità e difficoltà dei controlli in mare.
In Italia la disciplina legislativa della pesca marittima è inclusa nel Dpr n. 1639/1968 che riporta le Limitazioni d’uso all’art. 111: “E’ vietato l’uso di reti da traino nelle zone di mare nelle quali la profondità delle acque sia inferiore ai 50 metri entro le tre miglia marine dalla costa, salvo che la pesca sia esercitata con natanti a remi, o a mano da terra”

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